mercoledì 11 febbraio 2009

Fadwa Tuqan


L’attualità di questi giorni ha puntato ancora una volta i riflettori sulla striscia di Gazah, richiamando l’attenzione mondiale su un conflitto, quello tra israeliani e palestinesi, che ha insanguinato la seconda metà del Novecento e che in questo inizio del nuovo secolo non trova ancora risposte adeguate da parte della comunità internazionale per fronteggiare l’emergenza. In queste pagine non si intende sostenere politicamente l’una o l’altra parte in causa ma richiamare la riflessione sugli eventi storici che l’hanno originato e sulla letteratura della resistenza che ne è espressione.

La memoria torna ai miei studi universitari, quando Fathi Makboul, allora lettore di lingua araba all’Università “La Sapienza” di Roma, ci propose di accostarci ad una delle voci più rappresentative della sua terra natale, quella della poetessa palestinese Fadwa Tuqan, della quale aveva curato la traduzione italiana in un’antologia dal titolo “Fadwa Tuqan attraverso le sue poesie” [Roma : Centro culturale arabo, 1982. – 104 p.].

Nata a Nablus intorno al 1920, trascorse un’adolescenza triste, illuminata dalla figura del fratello Ibrahim, dal quale apprese l’arte poetica attraverso lo studio rigoroso dei poeti arabi classici e con il quale condivise l’amor patrio e l’impegno civile. Della sua vita sappiamo poi quanto i suoi stessi versi ci svelano: il soggiorno in Inghilterra, i viaggi in Europa e nel mondo, l’amore e soprattutto la passione per la patria contesa.

Tre motivi principali percorrono la produzione poetica di Fadwa, che si snoda in un arco temporale compreso tra il 1952 ed il 1973 e raccolto poi nel Diwan Fadwa Tuqan (Raccolta di poesie di Fadwa Tuqan) [Beirut, Dar al-‘awdah, 1988, 640 p.]: l’angoscia giovanile, la poesia amorosa e l’impegno civile e politico per la Palestina.

La sua prima raccolta di versi, Wahdi ma’a al-Ayyam (Sola con i giorni) è ancora pervasa dal primo di questi temi, l’angoscia giovanile, di cui sono espressione versi come quelli di Desideri confusi, Vita, Fantasie tra gli ulivi e soprattutto Autunno e sera: in quest’ultima, la contemplazione del giardino devastato dalla tempesta si trasforma in simbolo della caducità umana in un’appassionata e dolorosa unione con la natura. Formalmente questi versi non si distaccano dall’esempio dei classici.

Seguono le raccolte Wagadtuha (L’ho trovata!) e A’tina hubban (Dacci amore), che contengono le sue più belle liriche amorose, sia quello corrisposto e spensierato di Non venderò il suo amore, che eterna il ricordo dell’incontro con S. Quasimodo, e poi Un giorno sull’isola, Ti ricordi?, sia la fiamma che con il passare del tempo svanisce pur restando impressa nella memoria, come in Oblio, Dopo vent’anni e Orgoglio. L’espressione artistica di queste raccolte diviene più matura e formalmente segna il passaggio dal classicismo al verso libero (shi’r hurr), seguendo l’esempio di altri poeti arabi suoi contemporanei.

Il tema dell’orgoglio arabo umiliato e ferito, già presente nella sua poesia giovanile – pensiamo a Risveglio, Dopo la catastrofe e Con una profuga nella festa – è valso a Fatwa Tuqan la maggiore notorietà. La Guerra dei Sei giorni del 1967 determinerà in lei una presa di coscienza che si tradurra in versi frementi di rabbia man mano che il popolo arabo-palestinese passerà dalla rassegnazione per la propria condizione alla lotta armata. Amama al-bab al-mughlaq (Davanti alla porta chiusa), Al-layl wal-fursan (La notte e i cavalieri) e ‘Ala qimmati d-dunya wahidan (Sola sulla cima del mondo) sono le tre ultime raccolte della poetessa, quasi interamente pervasi da questa tematica.

Agli accenti di odio e di rabbia contenuti in questa produzione si accostano toni commoventi di intenso amore per la propria terra, come in Mi basta divenire nel suo grembo(Kafànì adhallu bi-hidnihà), che qui propongo in una mia traduzione, ed in altre brevi elegie dedicate ai combattenti caduti.





Mi basta divenire nel suo grembo


Mi basta morire nella sua terra
Ed esservi sepolta
E sotto la sua polvere svanire e consumarmi
E rinascere erba sulla sua terra
E rinascere come un fiore
Colto dalla mano di un bimbo che cresce al mio paese
Mi basta divenir nel suo grembo
Polvere
Erba
E un fiore.









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